Clck per allargare |
7 Settembre 2021 - Sono le 7:00. Le bici sono già pronte con i bagagli sistemati. Usciamo dal B&B ed andiamo al Bar in piazza per fare colazione. La piazza è chiusa al traffico perché si sta allestendo un piccolo mercato rionale con qualche bancarella.
Terminata la colazione ci dirigiamo verso il paese di Sant'Elia a Pianisi. Anche qui i campi di grano ci fanno compagnia. Nel paese troviamo ad aspettarci Maria Pia ed Antonio, rispettivamente sorella e fidanzato della mia amica e collega Francesca, originaria del posto. Ci faranno da guida per il paesello ma, soprattutto, per il Convento di San Francesco, il cui pregio è quello di aver ospitato San Pio da Pietrelcina ed il servo di Dio Padre Raffaele.
Il Nini (Andrea) non è per le "robe di chiesa", però ammira il lato artistico/culturale dei luoghi sacri. I ragazzi ci portano a fare il giro del convento fornendoci dei cenni storici, artistici e culturali. Compresa nella visita vi è anche la zona dedicata a San Pio da Pietrelcina, quella ove combatté contro le forze demoniache. Sant'Elia a Pianisi costituisce uno dei tre luoghi simbolo (insieme a Pietrelcina e San Giovanni Rotondo) ove visse il santo e, per questo, il convento è attrezzato con una apposita sezione dedicata al turismo religioso.
Terminata la visita al convento ammiriamo le viuzze, le piazze e i monumenti della piccola e graziosa località. Ci raggiungono per un caffè il papà e la mamma di Francesca, che amabilmente ci raccontano del paese e di quelle che un tempo erano le attività caratteristiche del luogo. Sarebbe bello restare a chiacchierare ancora un po', ma dobbiamo proseguire, ed anche di buona lena. Quindi, dopo un giro di saluti... ops, in sella.
Prendiamo la strada che costeggia il cimitero, diretti verso il lago di Occhito. Dopo qualche chilometro lungo la SP40, affrontiamo una discesa davvero ripida che, con una serpentina di curve, ci porta in un baleno sulle sponde del lago coprendo un dislivello significativo.
Giunti sul lago dobbiamo attraversare un torrente per andare dall'alta sponda. L'idea è quella di costeggiare il lungolago fino alla diga di Occhito, per poi risalire le pendici dei monti Dauni e visitare qualche paesino. L'attraversamento del torrente è facile... non c'è acqua! Però non scorgiamo immediatamente il sentiero sulla sponda opposta, per cui siamo costretti ad eseguire un lungo slalom nel suo greto a caccia dell'imbocco. Finalmente intravediamo nella boscaglia il sentiero che ci porta, ovviamente con una salita faticosissima, sul lungolago. Beh! La vista ripaga abbondantemente la fatica fatta.
Il lungolago è agevole e ben battuto. Ci fermiamo di tanto in tanto per immortalare qualche scorcio. In un batter d'occhio siamo sulla Diga. Una meraviglia dell'ingegno dell'uomo. Degli operai ci aprono il cancello per potervi accedere. Sono molto gentili e chiediamo loro dove possiamo fare rifornimento d'acqua. La risposta è poco piacevole: ahi noi, nessuna fontanella! Ma come... siamo di fronte ad un immenso invaso e non c'è l'acqua? Boh! Il problema è che lo sforzo fatto per attraversa il greto del torrente e risalire fino al lungolago ci ha prosciugato le borracce e siamo pure a corto di cibo. L'errore commesso è imperdonabile.
Diamo fondo a qualche barretta e centelliniamo l'acqua con piccoli sorsi. Chiedo ad un operaio della diga se mi conviene risalire subito per Carlantino oppure se puntare verso Celenza Valfortore. Mi risponde convinto “per Carlantino”... e così sia!
Proseguiamo sulla sponda pugliese (eh già, siamo in “Puglia Puglia Puglia dove la notte è buia buia buia” cit.), poi prendiamo una sterrata in salita a sinistra in direzione di Carlantino.
La salita è particolarmente ripida e la pendenza non permette di pedalare. Spingiamo le bici a mano fino alla sommità del colle: c'è da recuperare tutto il dislivello perso in precedenza... una faticaccia! Siamo stremati, senza acqua e senza cibo. Il timore ci assale, ma ci facciamo coraggio a vicenda fino a quando non intravediamo le case del paese.
Siamo a Carlantino e finalmente riusciamo a tornare in sella. Sono le 14.00 passate e in giro non c'è un'anima viva. Ci fermiamo al primo bar chiedendo se ci fa dei panini e come risposta otteniamo “NON FACCIAMO PANINI”. Ora siamo presi dallo sconforto: FAMEEEEEE... SETEEEE. Chiedo al barista dove posso andare a rifocillarmi e lui mi dice che non lo sa! OHHHHHHHHH!!! Basta, prendiamo la bici e dopo solo cinque metri (dico, CINQUE!), c'è un altro bar. Mi precipito all'interno e pongo al barista la stessa domanda: "ci fa dei panini?” Le mie orecchie odono compiaciute “Sì! Come li volete?” OLEEEEEEEEEEEEEEE!!! Lui non lo sa, ma ci ha salvato dalla fame e dalla sete.
Dopo esserci rifocillati e dopo un'abbondante bevuta di birra siamo di nuovo in sella. La strada è molto piacevole, siamo in direzione di Motta Montecorvino. Dopo diversi chilometri sulla SP1, la strada si addentra nel bosco di San Cristoforo. Il fresco ed un piacevole saliscendi mai davvero impegnativo ritemprano gli animi dopo la disavventura appena vissuta.
In poco tempo siamo a Motta Montecorvino, un paesino molto caratteristico posto sulla sommità di una piana di forma circolare. Facciamo un giro nelle sue viuzze scoscese e visitiamo la chiesa posta al centro del paese. Crediamo sia intitolata a San Giovanni Battista.
Ci avvediamo dell'ora tarda. Il sole sta per tramontare e dobbiamo ancora coprire un po' di chilometri per giungere alla nostra meta finale, ovvero Lucera. Il navigatore ci indica che, dopo una lunga discesa, prendendo un sottopasso sulla destra è possibile lasciare la SS17 e correre lungo una meravigliosa sterrata. La strada in questione ci rapisce. E' in piano e corre quasi parallelamente alla statale, ma a debita distanza, cosicché si non avverte il rumore del traffico. La sterrata attraversa campi di grano, che nel periodo estivo sono arsi e ha, come sfondo, una fila di pale eoliche. Colori, profumi e la vista di vecchi pozzi per l'irrigazione ci riempiono gli occhi e l'anima. Il paesaggio è enfatizzato dal sole che sta tramontando alle nostre spalle. Scherziamo allegramente inseguendo le nostre ombre che, ovviamente, non raggiungeremo mai.
La stanchezza si fa sentire: il mio contachilometri segna 66 km ma siamo quasi giunti a Lucera.
Ed eccola lì, la fine del nostro tratturo. Siamo commossi: è bello aver terminato con successo la nostra avventura lungo un percorso che, in tempi passati, rappresentava per i pastori abruzzesi un tragitto obbligato per svernare in località dal clima mite. Il tratturo è finalmente nostro... anche se già sappiamo che l'avventura non è ancora finita!
Ops! Il posto dove abbiamo pernottato è davvero incantevole. Una vecchia fornace trasformata nella Guest House “FLOS”. Dopo una doccia rigenerante e una cena squisita nel caratteristico locale... una birra ghiacciata non ce la toglie nessuno!
Traccia del giorno